In ogni armadio ci sono almeno un maglione infeltrito, un paio di jeans ormai passato di taglia, un pullover che era di moda parecchi anni fa o, magari, quel capo che ci dispiace buttare perché è pieno di ricordi e al quale, se proprio è ormai immettibile, preferiremmo dare nuova vita. E allora? Se non lo metto più…. lo Rifò. O meglio, a trasformarlo in capi nuovi ed ecosostenibili è l’azienda fondata nel 2017 da Niccolò Cipriani e Daniele Ceni. Ovviamente in una delle capitali della maglieria: Prato. Dopo Federico Cina, oggi vi racconto un’altra bella realtà che ho scoperto a Pitti Uomo.

Cipriani e Ceni

Grazie al crowdfunding i due imprenditori sono riusciti, infatti, a creare un’azienda che produce capi 100% riciclati, utilizzando quelli dismessi, dopo averne ricavato tessuti rigenerati tramite un procedimento inventato nel distretto toscano ancora un secolo fa e applicato da loro in un’ottica di sostenibilità ed economia circolare. Riutilizzare gli scarti, permette infatti di recuperare capi che andrebbero in discarica, riducendo al contempo significativamente la quantità di acqua, pesticidi e prodotti chimici necessari in ogni produzione di materiale vergine.

Rifò

Com’è nata l’idea di Rifò? A raccontarlo è Cipriani. «Ho fatto un’esperienza di lavoro in Vietnam, dove i rifiuti sono un grande problema. Ci sono molti capi usati, ma non si sa dove smaltirli. Così ho pensato a questa azienda. A Prato è stato facile trovare i partner giusti per trasformare i vestiti in qualcosa di nuovo, mantenendo però la qualità originale».

Rifò
I “cenciaioli”

Il primo materiale su cui l’azienda si è focalizzata è stata la lana, partendo dalla rigenerazione del cashmere, per dare un valore aggiunto ai capi. «Il filato di cashmere rigenerato è realizzato selezionando i vecchi vestiti e i rifiuti industriali per colore – continua Cipriani – quindi non è necessario tingerli di nuovo. Un lavoro che consente di risparmiare un’enorme quantità di acqua. Il processo di rigenerazione delle fibre e la produzione di indumenti Rifò vengono fatti nel distretto tessile di Prato grazie ad aziende a conduzione familiare e artigiani esperti. Il tutto è orientato a garantire prodotti di qualità e scarti minimi».

La seconda sfida è stata il recupero di una delle fibre più inquinanti dell’industria tessile: il cotone. Che Rifò lavora utilizzando un altro materiale estremamente critico come la plastica. Per dare elasticità alle magliette, infatti, vengono utilizzate bottigliette riciclate, cinque per ogni capo. Oltre che per le t-shirt, poi, il cotone rigenerato è utilizzato anche per i teli mare, portati per la prima volta a PittiUomo.

Il Jeans

Il contenitore

L’altra novità in mostra alla Fortezza da Basso era la collezione ampliata di tute e felpe realizzate con un filato ottenuto dalla rigenerazione dei vecchi denim, che si affiancano alla maglieria in jeans rigenerato, frutto di un progetto che coinvolge più soggetti. A “Re-Think your jeans” collaborano infatti, oltre a Rifò, Recooper, un progetto di economia circolare fatto da cooperative sociali che si occupano di raccolta e recupero di abiti usati; Pinori Filati, azienda pratese leader nella produzione di filati fantasia e rigenerati e NaturaSì, rete di negozi biologici.

Quest’ultima ha installato in 107 negozi (l’elenco qui) contenitori per la raccolta di jeans usati: lasciando nei box i vecchi jeans almeno 95% cotone, i clienti ricevono un buono sconto di 10 € per l’acquisto di un capo Rifò sul sito (www.rifo-lab.com) o nel negozio di Prato.

Il filato

Cosa succede ai jeans secuperati? «I vecchi vestiti in denim vengono selezionati da Recooper per poi essere lavorati e ridotti allo stato di fibra all’interno del distretto tessile pratese – spiega l’imprenditore – Questo materiale viene poi trasformato da Pinori Filati, nel suo filato denim, con il quale vengono prodotti capi sostenibili. Da ottobre a questi si affiancherà un capo di abbigliamento in collaborazione con il brand Oso, una nuova linea di abbigliamento green, ecosostenibile ed etica, confezionata dalla rete di sartorie sociali che aderiscono al progetto».

Un’iniziativa quindi dai risvolti sociali, oltre che ambientali. La produzione di una giacca di jeans riciclata, infatti, richiede solo 80 litri di acqua contro i 3000 litri richiesti dallo stesso capo di cotone vergine. Inoltre, rispetto a un nuovo indumento viene ridotto del 97% l’uso di acqua, del 77% quello di energia, del 95% per le emissioni di CO2 e del 100% per l’uso di coloranti e prodotti chimici.

Progetti sociali

A proposito di sociale, se il primo passo riguarda le ricadute lavorative sul territorio, facendo realizzare i capi in modo artigianale da aziende locali, entro 30 km da Rifò, i progetti vanno decisamente oltre. L’azienda ha infatti lanciato #2loveprato, che finanzia progetti delle associazioni no profit della zona.

Rifò
©Rifò

Tra questi cui la creazione di un’area per l’allattamento all’interno dell’ospedale di Prato con la Fondazione Ami; il finanziamento di un viaggio di tre giorni in barca a vela per bambini autistici con Opera Santa Rita; l’acquisto di beni per un rifugio Legambiente e il supporto psicologico e genitoriale per madri di bambini stranieri.

Partecipare

Come fare, allora, per consegnare i propri capi, in modo che vengano riciclati? «È sufficiente andare sul nostro sito e compilare un form – conclude Cipriani – Noi inviamo poi le etichette da utilizzare per spedire il maglione. Questo meccanismo sta prendendo molto bene e abbiamo pensato di coinvolgere in questo i nostri rivenditori. Riceviamo quotidianamente richieste da parte di persone che vorrebbero smaltire i propri indumenti con la certezza che diventino una nuova risorsa. Proprio per questo abbiamo pensato che il modo più semplice per farlo poteva essere quello di coinvolgere i negozianti, che così potranno portare le persone in negozio e dare loro anche un motivo concreto per tornare».

Vi siete incuriositi? Ecco allora la nuova collezione portata a Pitti Uomo.

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