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L’8 marzo è dall’inizio del secolo scorso la data di quella normalmente indicata come “Festa della donna”, codificata ufficialmente dall’Onu nel 1977 come Giornata internazionale dei diritti della donna. Una data che in molti paesi, come in Italia, è dedicata alla riflessione sulla condizione femminile in campo sociale e lavorativo. In altri, invece, questi diritti sono sistematicamente violati e si cerca di soffocare la voce della protesta anche quando questa si fa sentire alta come nel caso delle donne iraniane, Ho deciso di dedicare questa giornata a loro. E se in precedenza vi avevo raccontato le donne in poesia, oggi voglio affidarmi alla musica.

Donna, vita, libertà

Sono passati poco meno di sei mesi da quando Mahsa Amini è stata arrestata e picchiata a morte dalla polizia morale iraniana con la motivazione di indossare male il velo. Questo in un paese nel quale alle donne è vietato cantare, a meno che non duettino con un uomo, ballare, viaggiare all’estero se sposate. Dove la loro testimonianza in tribunale vale la metà di quella di un uomo, come anche i risarcimenti o le eredità che ricevono. Dove possono andare allo stadio dal 2019 e solo per le partite della Nazionale e in settori dedicati e sono obbligate per legge a indossare l’hijab. Dove sono ostacolate nell’ottenimento del divorzio, della custodia dei figli o nell’accesso all’università, dove vigono “quote azzurre”.

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Il dato positivo è che la morte di Mahsa Amini ha smosso le coscienze e innescato proteste alle quali hanno partecipato non solo le donne, ma moltissimi giovani uomini. E il loro motto – Donna, vita, libertà – si è diffuso a macchia d’olio a livello internazionale. Manifestazioni di solidarietà si sono svolte in moltissime parti del mondo, anche grazie ad attiviste che hanno dato vita a eventi, mostre, raccolte fondi (una la racconto qui).

E proprio un uomo, il cantante iraniano Shervin Hajipour è l’autore della canzone simbolo della protesta: Baraye, che in persiano significa “per” o “a causa di”. Brano vincitore della nuovissima categoria “Miglior canzone per il cambiamento sociale” ai Grammy Awards 2023, per la quale Hajipour è stato imprigionato e poi rilasciato.

Un brano dal testo estremamente significativo, tratto dai messaggi della protesta, da leggere ascoltando la voce del suo autore.

Baraye

Per ballare nei vicoli
Per il terrore quando ci si bacia
Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle

Per cambiare le menti arrugginite
Per la vergogna della povertà
Per il rimpianto di vivere una vita ordinaria

Per i bambini che si tuffano nei cassonetti e i loro desideri
Per questa economia dittatoriale
Per l’aria inquinata

Per Valiasr e i suoi alberi consumati
Per Pirooz e la possibilità della sua estinzione
Per gli innocenti cani illegali

Per le lacrime inarrestabili
Per la scena di ripetere questo momento
Per i volti sorridenti

Per gli studenti e il loro futuro
Per questo paradiso forzato
Per gli studenti d’élite imprigionati

Per i ragazzi afghani
Per tutti questi “per” che non sono ripetibili
Per tutti questi slogan senza senso

Per il crollo di edifici finti
Per la sensazione di pace
Per il sole dopo queste lunghe notti

Per le pillole contro l’ansia e l’insonnia
Per gli uomini, la patria, la prosperità
Per la ragazza che avrebbe voluto essere un ragazzo

Per le donne, la vita, la libertà

Per la libertà
Per la libertà
Per la libertà

Una bellissima e toccante versione in lingua inglese è quella eseguita dal coro pop a cappella di Friburgo Twäng. Ve la propongo qui.

C’è una canzone che legate alla festa della donna e ai diritti? Una storia che volete raccontarmi? Mandatemi i vostri commenti e suggerimenti o scriveteli sulla mia pagina Facebook

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