Cosa c’è di più italiano di un piatto di pasta? Probabilmente nulla. Che si tratti delle trofie liguri, delle mille paste ripiene emiliano-romagnole, della cuppulella napoletana o dei pizzoccheri valtellinesi portarla in tavola è condividere anche una tradizione. E spesso un territorio dal quale gli ingredienti nascono. A Taste, il salone dell’enogastronomia firmato Pittimmagine, sono tante le storie che questa cultura la raccontano e io le ho selezionate per voi.

Dopo il goloso tagliere di salumi e formaggi tipici che vi ho consigliato l’anno scorso, scopriamo quindi alcuni dei produttori che queste tradizioni le portano avanti.

Pasta “cardinalizia”

Se la produzione di pasta in Italia ha una storia plurisecolare, molti marchi hanno raccolto questa eredità in tempi relativamente recenti, trasformando antiche attività in aziende strutturate. Altre, invece, si sono lanciate in questa avventura partendo dalla produzione delle materie prime.

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Maria Vittoria Rossi a Taste

Il primo è decisamente il caso di Campofilone, della famiglia Rossi, che nel 1998 ha acquistato il primo pastificio nato nel 1902 nel distretto della pasta all’uovo. Di quella piccola attività porta avanti il lavoro e la filosofia a partire dalla produzione dei Maccheroncini di Campofilone, un tipo di pasta che sarebbe già stato servito nel 1560 durante il Concilio di Trento.

State immaginando i cardinali che gustano dei cilindretti di pasta bucati? Nulla di più sbagliato: i maccheroncini sono infatti spaghettini filiformi, somiglianti più ai tagliolini in brodo (nella versione più sottile) che a una pasta asciutta. Con cosa si condiscono? Con un bel ragu di carne, ma anche con uno bianco di pesce.

I maccheroncini

«Si tratta di una delle cinque paste Igp italiane – spiega Vittoria Rossi – che nella nostra zona rappresenta il pranzo della domenica ed è preparata solo con farina e uova, che rappresentano il 33% del totale. Entrambe le materie prime sono prodotte in proprio, dai nostri campi e dalle nostre galline che razzolano libere».

Campofilone, del resto, ha una lunga tradizione in questo settore, con 8 pastifici in un paese di circa 2.000 abitanti, che non producono solo per il mercato italiano. «Da quando siamo partiti – conclude Rossi – siamo cresciuti molto e oggi esportiamo in 50 paesi con una quota di export di circa il 50%».

Tradizione napoletana… di corsa!

Rientra tra le paste Igp anche quella di Gragnano, nella città metropolitana di Napoli. A Taste tra le tante aziende espositrici ne ho scelta una particolare, che va, diciamo, a passo spedito. Si chiama infatti Gragnano in corsa il marchio fondato nel 2009 da Ciro Dario Petrone, appassionato podista. Passione dalla quale deriva anche il nome.

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A Cuppulell con la “trafila del sorriso”

«Dal 1964 l’azienda ha sempre lavorato come terzista – racconta – poi nel 2009 abbiamo deciso di creare un nuovo marchio ed è stata una scelta vincente. Il nome nasce dalla mia passione per la corsa, ma il legame con lo sport non finisce qui, perché alle ultime olimpiadi siamo stati sponsor delle Fiamme Gialle».

Ma cos’ha di speciale la famosa pasta di Gragnano? «L’acqua è molto calcarea e l’aria arriva dal mare e poi torna indietro dai monti, consentendo un’essiccazione particolare e costante, che una volta si faceva per strada. A Gragnano sono nati oltre 200 formati di pasta a partire dai vermicelli». Il suo fiore all’occhiello, però è a Cuppulell, per la quale si utilizza la “trafila del sorriso”, da riempire «con un ragu di carne, ma anche melanzane e provola o il classico ricotta e spinaci».

Pici di lago

Coltiva cereali da tre generazioni la famiglia Bertoli, che dieci anni fa ha deciso di iniziare a trasformare la propria produzione dando vita a Pasta Bertoli. «Abbiamo cominciato un po’ per gioco senza darci obiettivi, poi il prodotto è piaciuto», raccontano Federica e Silvia Bertoli, allo stand insieme a Valentina La Corte.

«La nostra è una realtà famigliare, seguiamo tutto, dalla semina al raccolto allo stoccaggio, i clienti rimangono sorpresi quando arrivano da noi e si trovano in mezzo a un campo di grano». Dove a luglio è possibile assistere alla mietitura dei diversi tipi di grano, bio dal 2019.

Le sorelle Bertoli e Valentina allo stand

Che non sono l’unica bellezza della zona visto che l’azienda agricola e l’agriturismo La Ghiraia si trovano nella riserva naturale di Santa Luce, a poca distanza dal lago. Dove producono anche olio, utilizzato anche da un’azienda della zona per i sughi.

I prodotti di punta? Essendo nel Pisano, senz’altro i pici, proposti in diverse varianti: tradizionali, al tartufo, ai funghi, al vino, allo zafferano e al peperoncino. Ma ovviamente anche tanti altri tipi di pasta secca e all’uovo. Una ricetta? Sul loro blog.

Pasta di montagna

Nasce nel 2019 alle pendici del Gran Sasso l’azienda agricola Ramo di Mandorlo che produce pasta partendo dalle proprie coltivazioni di lenticchie e ceci in una tenuta di 13 ettari. Pasta alla quale si affiancano anche quelle di piselli e fave e che Bruna di Loreto spera di proporre anche nel rinnovato Tre Marie, ristorante stellato a L’Aquila che vorrebbe far ripartire, dopo aver riaperto i battenti del bistrot, dove già sono presenti.

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Bruna di Loreto con la pasta ai legumi

«Le lenticchie – racconta – vengono sottoposte a sette processi per garantirne la qualità. Poi, come i ceci, sono macinate a pietra nel mulino ad acqua, perdendo il 50% del prodotto, ma mantenendo intatte le proprietà nutrizionali e organolettiche dei legumi. Da queste farine produciamo pasta e dolci, molto apprezzati sia da chi è intollerante al glutine, visto che ne sono naturalmente privi, sia da chi è attento alla propria alimentazione. Dal 2002, poi, abbiamo seminato anche il grano Senatore Cappelli».

Campo di zafferano del Ramo di Mandorlo

L’altro fiore all’occhiello dell’azienda è lo zafferano, dal quale oltre agli stimmi viene ricavato un liquore, ma anche essenze per candele in cera di soia. «Produciamo zafferano dell’Aquila dop – continua di Loreto – coltivazione che richiede molta attenzione. I fiori vanno raccolti all’alba, quando non sono ancora schiusi, e vengono “sfiorati” tutti a mano, facendo attenzione a non separare gli stimmi e poi essiccati sul legno di mandorlo per non perderne l’aroma».

Un lavoro lungo se si pensa che per un grammo di zafferano servono 1500 fiori. In questa attività vengono coinvolti anche i visitatori, che hanno l’opportunità di vivere un’esperienza decisamente diversa dal solito. «A novembre organizziamo tour nei quali le persone sfiorano con noi. Quando si è tutti attorno al tavolo si crea una bellissima atmosfera».

Cuore emiliano

Infine, da emiliana, non potevo tralasciare la pasta ripiena. Quella che ho scoperto, Gratifico, viene da Manerbio, nel Bolognese e, accanto ai formati da gustare a casa, propone anche i tortellini… da ufficio!

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Le paste di Gratifico

Gratifico, del resto, nasce dalla passione di tre amici, Silvano Galici, Alessandro Ritelli e Silvano Bellei e dall’esperienza di quest’ultimo, mastro pastaio che ha imparato l’arte dal padre, dal quale il trio nel 2015 ha rilevato l’azienda e l’ha ampliata, creando una linea dedicata proprio ai prodotti bolognesi tradizionali e rivisitati.

Accanto ai tortellini (la ricetta ufficiale ve la racconto qui) ci sono le “perle nere”, con sfoglia a base di mallo di noce e ripieno tradizionale con tartufo; i tortelloni di zucca; i balanzoni, con ripieno tradizionale e ricotta e poi ravioli, gramigna e tagliatelle, anche all’ortica.

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Tortellini “da ufficio”

«Il nostro segreto – spiegano allo stand – è l’alto livello degli ingredienti. Le uova sono acquistate da produttori attenti alla qualità, che allevano le galline a terra e abbiamo una convenzione con il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano dop. Anche il brodo granulare che utilizziamo per i tortellini da cuocere a microonde è artigianale creato apposta per noi».

I tortellini “da ufficio”, appunto. Devo ammettere che l’idea di tortellini “pronti all’uso” da cuocere in microonde aggiungendo un po’ d’acqua mi spaventava abbastanza. In realtà, una volta assaggiati, sono una piacevole pausa pranzo.

Come la condisco?

Ogni pasta, però, per essere valorizzata al massimo ha bisogno di un buon condimento. E la tradizione italiana ne annovera tantissimi, tipici dei vari territori.

Alessandra Gerini

Chi ha deciso di unirne ben due sono Alessandra e Antonella Gerini, fondatrici di Giò e Giuà, che mettono assieme le specialità toscane e napoletane. Tutto nasce dalla scoperta delle lettere che nonno Giovanni (Giò), macellaio di Pontassieve, scambiava con Giovanni (Giuà) Fiorillo, collega di Napoli. Le nipoti contattano quindi Tonino Fiorillo, che da nonno Giuà ha ereditato le ricette tradizionali e da questa corrispondenza ha origine la salsamenteria.

«È possibile che i due si fossero conosciuti al mercato di Forlì – spiega Alessandra – e da lì hanno cominciato a scambiarsi lettere, consigli sui tagli di carne, ricette. Da queste abbiamo creato sette sughi, quattro napoletani e tre toscani». Dalla Campania hanno quindi “importato” il ragù napoletano “comme chello è mammà!”, a Salsaforte, la genovese napoletana e la Sciuè sciuè del Vesuvio; dalla Toscana la puttanesca coll’aglione, il ragù toscano e il sugo finto, senza carne.

Il burro aromatizzato

Sempre restando nel Fiorentino, sta studiando burri aromatizzati Selektia Tartufi di Simone Calugi, che utilizza il tartufo bianco di San Miniato: uno aromatizzato appunto al tartufo, uno ai porcini, uno allo zafferano e uno con aglio orsino e paprika. Provati e… esperimento decisamente riuscito! Come anche la crema gorgonzola e tartufo.

E, ovviamente, non può mancare il pesto genovese. Come quello di La Gallinara, al quale l’azienda ne affianca altri 30, nati dalla ricerca ma anche dalle richieste dei clienti. L’ultimo nato? Quello con olive verdi, basilico e scorza di limone. «Inizialmente avevamo rifiutato l’idea – spiega Marco Natucci – ma poi abbiamo scoperto che in Nord Europa in questo momento il limone va tantissimo».

Non solo pasta

Lardi sfiziosi

È vero, l’articolo è dedicato alla pasta. Ma alcune chicche meritano di essere raccontate, come i lardi aromatizzati del Salumificio Coccia: al lampone, al mojito, al tartufo, kiwi e zenzero, al peperoncino e agli aromi. Suonano strani? Ho assaggiato mojito e lampone… favolosi per dei crostini!

E dopo…beh, una buona birra. Tre in particolare: la botanica al sambuco di Birra Follina di Treviso; Jattura, l’affumicata in stile scozzese di Kbirr di Napoli e la Black Locust, la robust porter con prugne disidratate di Birrificio del Forte. E un Maremmamaro grossetano alle erbe di Nannoni Grappe per concludere in bellezza.

Ma di birre vi parlerò prossimamente…

Conoscevate qualcuno di questi prodotti? Vi piacciono i prodotti tipici? Se conoscete altre storie interessanti mandatemi i vostri commenti e suggerimenti o scriveteli sulla mia pagina Facebook! E a presto con altre golose novità!!!

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